sexta-feira, 15 de fevereiro de 2013

Il commento di un “marxista ratzingeriano”

In Settimo Cieli

Paolo Sorbi, l’autore della seguente nota, è assieme a Mario Tronti, Giuseppe Vacca e Pietro Barcellona uno dei quattro “marxisti ratzingeriani” che nel solco di Benedetto XVI riconoscono nella “questione antropologica” la sfida centrale di questo tempo.

Ecco le riflessioni che gli ha ispirato la rinuncia di Joseph Ratzinger al papato.

TRAUMA E SOGNO

di Paolo Sorbi

Calderon de La Barca: ”La vida es sueño”. Mai dramma barocco viene più a proposito circa la grande rinuncia di Benedetto XVI. Ne “La torre” di Hugo von Hofmannsthal vengono descritte lotte di tutti contro tutti in una metaforica “Romania”, luogo che adombra la babele dei linguaggi, le bande ideologiche e corrotte vaticane. Come per l’autore austriaco, c’è un lato spagnolo nella crisi di civiltà europea che si scorge ben delineato in Calderon e che riflette la caduta di comportamenti culturali di una civiltà, un sistema organizzato impazzito, luogo di continui conflitti senza valori.
Il mio timore è che si voglia far passare l’opzione di Benedetto XVI come l’inizio di una modernizzazione traumatica che porterebbe a un vero e proprio collasso la posizione  elaborata dallo stesso Benedetto. Delle due l’una: o Ratzinger non ha percepito il cuore della questione – e lo escludo – o il suo messaggio è di responsabilizzarci ancora di più, anche senza lui. Anche senza quella formidabile sua visione che sola, però, con il ruolo sociologico e misteriosamente di fede del primato di Pietro, aveva potenza di lotta culturale per capovolgere l’infausta egemonia radicale e nichilista che avvolge e spinge verso il tramonto dell’Europa, cui ho accennato citando Calderon e Hofmannsthal, e della stessa vita, dei nostri anni come momenti dell’emergenza antropologica.

Dunque: è accaduto un “bradisismo ecclesiale” assolutamente imprevedibile, se lo viviamo come terremoto di una posizione teorica. Posizione elaborata in buona parte, negli ultimi trent’anni, dallo stesso Benedetto XVI. È un passaggio di una simbolicità enorme. Denunzia un’impasse nella nostra stessa corrente socioculturale, di credenti e non credenti, che sostiene le grandi questioni della critica razionale al relativismo etico e all’uso delle biotecnologie senza cultura dei limiti, della necessità, in campo dottrinale, di una cristologia fortemente centrale nelle pur legittime teologie presenti nella “Catholica”. Così come della irrinunciabilità dei mezzi poveri nelle differenziate pastorali, del provare sempre più ad essere minoranza creativa spiritualmente in grado di testimoniare eppur presente nell’arena pubblica senza complessi di assurde nuove cristianità che non sono né debbono essere l’orizzonte della nuova evangelizzazione. Per non parlare dei formidabili temi della “Caritas in veritate” sulla necessità dell’oltrepassamento del capitalismo selvaggio connotato da “maturità e stagnazione” e che non indica se non “pensiero debole”.

In un contesto internazionale, poi, di crisi generale dei modi di produzione, non solo e non tanto della semplice crisi della finanza. In un contesto geopolitico di crisi drammatica mediorientale e di dinamiche tumultuose. In un contesto di collasso demografico in tutto l’Occidente, di non circolarità delle giovani élites sempre più fragili e senza futuro. Insomma, in un passaggio grave di civiltà sarebbe stato importante che Benedetto XVI resistesse, nonostante tutto e nonostante le sue correttissime motivazioni.

”Perché ci hai lasciato così?”, si esprime il Grande Inquisitore al Cristo ritornato di nuovo per visitarci “ad limina” nuovamente. Siamo a questa altezza del dramma in questi giorni, bisogna intenderla bene la scelta della rinuncia del papa. È questione di categorie epistemologiche che dovevano sorreggerlo. Questo non è avvenuto.

Eppure non colgo forti autocontraddizioni nell’elaborazione della centralità della persona umana come elemento decisivo, nell’educazione e nel “politico”, dopo la fine della lotta delle classi e di fronte alla miseria educativa della proposta nichilista. Cos’è che non funziona nella teoria dell’emergenza antropologica?

Vorrei aggiungere che ritengo secondarie le questioni tipicamente “moderne” della “produttività” delle dimissioni di un pontefice che è lucido come Ratzinger. È banale dire che un tale gesto innova nella vita della Chiesa. È giusto, ovviamente, ma insufficiente e non si coglie il più profondo elemento di crisi di un pensiero che emerge da questi avvenimenti. Invece in quest’epoca di potenza delle tecniche ciò è avvenuto. Quasi ad indicarci come sia urgente una riflessione sulla pervasività in tutti gli ambienti delle mutazioni antropologiche a motivo delle reti tecnologiche che aprono inediti squarci di benessere e comunione tra gli umani, ma anche fortemente produttrici di individualismo e solitudini infinite dei soggetti sociali che, invece, vanno orientati ai beni comuni e di relazionalità che, per me, restano indubbiamente molto corporei ma che le tecniche smaterializzano. Che fare verso questo poderoso “cervello sociale” che irriducibilmente avanza nel globo e che ci inquieta, senza risposte adeguate con “fides et ratio”? E men che meno con i vari pensieri gnostici e spiritualizzanti, come se Dio non ci fosse, anzi ci fosse un ritorno, grottesco, degli dei arcaici.

In questo contesto dire che, per la Chiesa, è necessario un nuovo concilio, un Vaticano III, è aggiungere irresponsabilità a irresponsabilità. Non tanto per le condizioni sociologiche che, al contrario, renderebbero attuale dopo appena cinquant’anni una nuova ecumene (tanto il tempo si è accelerato e colossali avvenimenti storici sono accaduti). In effetti  la necessità di nuovi “aggiornamenti” ecclesiali è all’ordine del giorno, ma per la radicale inadeguatezza dei critici della linea personalista di Joseph Ratzinger tutto si avviterebbe nelle miserrime questioni “modernizzanti” sugli stili di vita e le opzioni eugenetiche. Pensieri teorici cristiani sostanzialmente sgangherati , balbuzienti nelle loro opposizioni teologiche progressiste. Ora, però, si aggiunge un altro segnale della sentinella: anche la cultura della vita e i suoi difensori ostinati e corretti soccombono?